Pochi mesi fa avevo letto “E disse” di Erri De Luca e pochi mesi fa mi ero lamentato per lo stile dello scrittore che trasuda di amore per i periodi brevi, per le frasi che alla leggibilità contrappongono la ricercatezza dei vocaboli. Dentro me però sapevo che il gioco condotto da De Luca mi aveva affascinato e quando ho visto in libreria “I pesci non chiudono gli occhi” non ho saputo resistere. Perché oltre a ricordarmi sia il mio segno zodiacale che i pesciolini del mio acquario, la quarta di copertina anticipa qualcosa di intrigante per chi, come me, reputa i cambiamenti qualcosa di necessario per il sol fatto di voler rimanere in vita.
Il mio corpo non mi sta a cuore e non mi piace. E’ infantile e io non sono più così. Lo so da un anno, io cresco e il corpo no. Rimane indietro. Perciò pure se si rompe, non importa. Anzi, se si rompe, da lì dovrà venire fuori il corpo nuovo.
Tratto da “I pesci non chiudono gli occhi” di Erri De Luca
In realtà devo confessare che questo libro, col senno di poi, potrebbe condividere qualcosa di più (tristemente?) profondo. Vi spiego: non so se sia colpa dell’ascetismo che, per forza di cose, la vita in un monolocale un po’ impone o se il fatto che in tv dessero solo Sanremo (che ho volutamente perso ed ho “letto” giornalmente a-posteriori un po’ sul web un po’ attraverso i tg) ma le ultime sere di questi giorni le ho dedicate a queste pagine. Il libro però, vede come protagonista un ragazzino un po’ schivo nei rapporti umani che scopre il mondo e gli adulti attraverso i libri. Ovviamente – vi rassicuro – continuo ad avere una vita sociale ma ammetto di amare e godere nel ritrovare spazi tutti miei.
Leggere somigliava a prendere il largo con la barca, il naso era la prua, le righe le onde. Andavo piano, a remi, qualche parola non capìta la lasciavo stare, senza frugare nel vocabolario. In attesa di intenderla, restava approssimata. Dovevo arrivarci da solo, definirmela attraverso altre occasioni, a forza di incontrarla.
“I pesci non chiudono gli occhi” è la storia d’amore estiva dell’infanzia. E’ la tenerezza della scoperta della mano di quella bambina che, fino a qualche istante prima per te era solo un altro essere, qualcosa che non poteva scuoterti all’interno. E’ la strana sensazione che si prova nell’aver pronunciato, in piena inconsapevolezza, una frase che trasuda di romanticismo. E’ la scoperta della parola “amore” stessa: un termine che fino ad una certa età si fatica a comprendere: perché “i grandi” stanno male per essa? Perché farebbero di tutto per averne? Perché sembra così bella ma è intrisa di odio e vendetta? Domande innocenti di un bambino che non l’ha ancora scoperta.
Il tutto, raccontato durante l’estate di poco più di mezzo secolo fa, caratterizzata dal papà che salpa verso l’America alla ricerca di fortuna nel primo dopo-guerra e la saggezza del mare e degli animali che trasmettono verità senza dilungarsi in troppe parole.
E’ un bel libro. Una storia molto leggera accompagnata dallo stile, inequivocabile, che contraddistingue De Luca: sembra sia un uomo incapace di strillare. Non incontri eccessi, non ci sono pagine particolarmente spigolose ma anche le scene più convulse e appassionanti sono raccontate con la stessa velocità. Potrebbe suonar strano ma ti permette di apprezzare allo stesso modo dalla prima all’ultima pagina.
Emanuele